Bari, alla scoperta del "Kali": l'antica arte marziale proveniente dalle Filippine
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mercoledì 7 dicembre 2022
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di Mina Barcone - foto Antonio Caradonna
BARI – Trasformare un oggetto di utilizzo comune come una bottiglia, un ombrello o una penna in una vera e propria arma. È quanto insegna l’Escrima, meglio conosciuto come Kali: un’antica arte marziale che affonda le sue origini nell’arcipelago asiatico delle Filippine.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Una commistione tra discipline indonesiane e metodi di lotta cinesi e giapponesi che, arrivata anche in Occidente, viene praticata non per fini agonistici ma per acquisire sicurezza nelle proprie capacità mentali e fisiche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Anche a Bari ci sono maestri che diffondono i suoi principi. Tra questi il 60enne “pioniere” Danilo De Candia, attivo assieme al 45enne Benedetto Donato nella storica palestra Kanku Dai di via Napoli 204. Siamo andati a trovarlo (vedi foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varcata l’entrata della Kanku Dai ci ritroviamo davanti a un gruppo di una decina di persone di diversa età disposte in due file poste uno di fronte all'altra. Tutti hanno in mano dei bastoni della lunghezza di circa 60 centimetri fatti di legno di rattan, una palma rampicante asiatica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Venivano utilizzati dai filippini per farsi largo tra gli alti fusti della giungla – spiega De Candia –, ma poi il popolo cominciò a usarli nel Kali quando gli spagnoli vietarono loro l’uso delle armi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La storia dell’Escrima è infatti strettamente legata all’arrivo nelle Filippine dei conquistadores spagnoli intorno alla metà del 1500. Furono loro infatti a proibire ai nativi di portare con sé armi da taglio e di conseguenza di praticare la loro arte marziale. E così per aggirare questa interdizione, gli asiatici iniziarono a servirsi di bastoni e pugnali di legno con cui si allenavano durante rappresentazioni teatrali durante le quali inscenavano finte coreografie di danza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’utilizzo di mezzi “alternativi” è diventato così uno dei principi dell’arte marziale, che può essere praticata di fatto con qualsiasi oggetto, a prescindere dalla sua lunghezza o forma. Del resto a fare la differenza nel combattimento non sono le armi ma principi quali la gestione del proprio corpo, il controllo dei tempi di difesa e di attacco e la trasmissione dell'energia, così come avviene nel Wing Tsun cinese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«I miei ragazzi infatti studiano contemporaneamente entrambe le discipline – precisa il maestro -. Con esse imparano a prendere la forza sfruttando l’energia dell'avversario, controllando le reazioni fisiche. L'azione di attacco o di disarmo non deve infatti “caricarsi” eccessivamente, ma basarsi su azioni mirate, come ad esempio assestare un colpo sul piano sagittale mantenendo il corpo in “linea centrale” verso il nemico».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Con l'aiuto di un allievo De Candia ci mostra come, utilizzando la mano libera dal bastone, riesce a disarmare l’avversario mettendolo al tappeto senza necessariamente colpirlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«L’insegnamento del Kali - interviene Benedetto Donato - inizia sì con le armi, ma una volta acquisita una sufficiente esperienza si fa in modo di utilizzare le medesime tecniche sfruttando un ombrello, una penna o una bottiglia. E solo in seguito viene introdotta la lotta a mani nude. Qui avviene l’esatto contrario rispetto alle altre arti marziali, dove si parte con il corpo libero per arrivare all’uso degli strumenti di offesa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tra le armi comunque utilizzate ci sono piccoli pugnali in legno o il “karambit”: un coltello filippino-indonesiano con lama a mezzaluna e con un anello all'estremità del manico nel quale viene inserito il pollice. Gli allievi utilizzano però quello di plastica, come la 42enne Rosangela che affronta il 38enne Nicola afferrandolo al collo e puntandogli il karambit alla gola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il maestro invece può maneggiare lame vere, come coltelli a farfalla o tradizionali machete. Danilo ci mostra un video in cui affronta un avversario con una mano libera e l’altra che stringe proprio un machete.
«Insegniamo però anche l’utilizzo di due armi contemporaneamente – afferma De Candia –: una coppia di bastoni, un bastone e un pugnale o una coppia di coltelli. In questo caso ci si allena nell’ambidestrismo migliorando la propria coordinazione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Perché questa disciplina insegna a districarsi in qualsiasi situazione e con qualsiasi cosa si abbia in mano - conclude Donato -. Il fine ultimo è infatti quello di comprendere che si può affrontare ogni avversità, anche in situazioni di apparente svantaggio. Perché spesso il vero nemico non è quello che si ha di fronte, ma quello che c’è dentro di noi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
Nel video, un duello di Kali con le sciabole:
Una commistione tra discipline indonesiane e metodi di lotta cinesi e giapponesi che, arrivata anche in Occidente, viene praticata non per fini agonistici ma per acquisire sicurezza nelle proprie capacità mentali e fisiche.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Anche a Bari ci sono maestri che diffondono i suoi principi. Tra questi il 60enne “pioniere” Danilo De Candia, attivo assieme al 45enne Benedetto Donato nella storica palestra Kanku Dai di via Napoli 204. Siamo andati a trovarlo (vedi foto galleria).Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Varcata l’entrata della Kanku Dai ci ritroviamo davanti a un gruppo di una decina di persone di diversa età disposte in due file poste uno di fronte all'altra. Tutti hanno in mano dei bastoni della lunghezza di circa 60 centimetri fatti di legno di rattan, una palma rampicante asiatica.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Venivano utilizzati dai filippini per farsi largo tra gli alti fusti della giungla – spiega De Candia –, ma poi il popolo cominciò a usarli nel Kali quando gli spagnoli vietarono loro l’uso delle armi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
La storia dell’Escrima è infatti strettamente legata all’arrivo nelle Filippine dei conquistadores spagnoli intorno alla metà del 1500. Furono loro infatti a proibire ai nativi di portare con sé armi da taglio e di conseguenza di praticare la loro arte marziale. E così per aggirare questa interdizione, gli asiatici iniziarono a servirsi di bastoni e pugnali di legno con cui si allenavano durante rappresentazioni teatrali durante le quali inscenavano finte coreografie di danza.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
L’utilizzo di mezzi “alternativi” è diventato così uno dei principi dell’arte marziale, che può essere praticata di fatto con qualsiasi oggetto, a prescindere dalla sua lunghezza o forma. Del resto a fare la differenza nel combattimento non sono le armi ma principi quali la gestione del proprio corpo, il controllo dei tempi di difesa e di attacco e la trasmissione dell'energia, così come avviene nel Wing Tsun cinese.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«I miei ragazzi infatti studiano contemporaneamente entrambe le discipline – precisa il maestro -. Con esse imparano a prendere la forza sfruttando l’energia dell'avversario, controllando le reazioni fisiche. L'azione di attacco o di disarmo non deve infatti “caricarsi” eccessivamente, ma basarsi su azioni mirate, come ad esempio assestare un colpo sul piano sagittale mantenendo il corpo in “linea centrale” verso il nemico».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Con l'aiuto di un allievo De Candia ci mostra come, utilizzando la mano libera dal bastone, riesce a disarmare l’avversario mettendolo al tappeto senza necessariamente colpirlo.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«L’insegnamento del Kali - interviene Benedetto Donato - inizia sì con le armi, ma una volta acquisita una sufficiente esperienza si fa in modo di utilizzare le medesime tecniche sfruttando un ombrello, una penna o una bottiglia. E solo in seguito viene introdotta la lotta a mani nude. Qui avviene l’esatto contrario rispetto alle altre arti marziali, dove si parte con il corpo libero per arrivare all’uso degli strumenti di offesa».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Tra le armi comunque utilizzate ci sono piccoli pugnali in legno o il “karambit”: un coltello filippino-indonesiano con lama a mezzaluna e con un anello all'estremità del manico nel quale viene inserito il pollice. Gli allievi utilizzano però quello di plastica, come la 42enne Rosangela che affronta il 38enne Nicola afferrandolo al collo e puntandogli il karambit alla gola.Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
Il maestro invece può maneggiare lame vere, come coltelli a farfalla o tradizionali machete. Danilo ci mostra un video in cui affronta un avversario con una mano libera e l’altra che stringe proprio un machete.
«Insegniamo però anche l’utilizzo di due armi contemporaneamente – afferma De Candia –: una coppia di bastoni, un bastone e un pugnale o una coppia di coltelli. In questo caso ci si allena nell’ambidestrismo migliorando la propria coordinazione».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
«Perché questa disciplina insegna a districarsi in qualsiasi situazione e con qualsiasi cosa si abbia in mano - conclude Donato -. Il fine ultimo è infatti quello di comprendere che si può affrontare ogni avversità, anche in situazioni di apparente svantaggio. Perché spesso il vero nemico non è quello che si ha di fronte, ma quello che c’è dentro di noi».Notizia di proprietà della testata giornalistica © Barinedita (vietata la riproduzione)
(Vedi galleria fotografica)
Nel video, un duello di Kali con le sciabole:
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